Robe da chiodi

Perché penso, come ha detto qualcuno, che la storia dell’arte liberi la testa

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Cy Twombly, un grande sul ciglio del mondo

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2_rwombly-cop_bSbarca a Roma alla Gnam (ma come son mai orrendi questi acronimi affibbiati ai musei d’arte moderna in Italia!) la mostra di Cy Twombly sino a qualche mese fa alla Tate di Londra. E basta vedere la copertina del catalogo (Electa) per avere un tuffo al cuore: bombe di colori che esplodono come fiori sulla tela. Aveva detto Roland Barthes che Cy Twombly incarna la «felicità del caso». I suoi quadri sembrano fatti «nel vento e nell’acqua». Sono fascino e leggerezza («il talento bianco» lo aveva ribattezzato Emilio Villa). Ma sarebbero solo esercizi privati se non contenessero anche una scintilla di apocalissi. Twombly dipinge sempre sull’orlo del disfarsi delle cose. Questo spiega il suo lasciarsi calamitare dall’Europa e dalla cultura mitologica. La sua fragilità è solo apparente, in realtà è annuncio di terremoti. Nella bella recensione alla mostra londinese Riccardo Venturi ha parlato di “fallimenti”. È la categoria chiave per capire Cy Twombly. La realtà intenerisce perché è destinata a disfarsi.

Aggiungo su segnalazione di Giovanni un link alla mostra di Cy Twombly aperta in queste settimane alla Gagosian di Londra. Il titolo è Rose. Grandi dipinti su compensato, vere esplosioni di vitalità (nel senso di energie e di apertura alla vita). Impressionanti se li si pensa realizzati da una persona di 80 anni. In questi tempi un po’ girgi sono un vero regalo per gli occhi!

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Written by giuseppefrangi

marzo 4, 2009 at 9:05 am

I tabernacoli di Burri

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Per giudicare se una mostra è ben fatta o invece è sciatta basta tener d’occhio alcuni piccoli particolari. Prendete la rassegna che la Triennale ha dedicato a Burri. Gran parte delle opere, provenienti dalla Fondazione di Città di Castello, sono degli ultimi anni. E sono tutti Cellotex, anche nei titoli. Ebbene, vi sfido a trovare anche una sola didascalia in cui si spieghi che cosa sia questo materiale decisivo per il grande maestro umbro.
Intanto rimediamo: il cellotex è un materiale povero, anonimo, di uso industriale: particelle di segatura e colla pressate insieme. Burri vi interviene «spellandone» a tratti la superficie fino a mettere a nudo le fibre, di colore naturale simile alla iuta.
I Cellotex rappresentano un apice di purezza per Burri, perché lo accompagnano verso quella semplificazione estrema cui anelava. Sono supporti e superfici poveri. Ma di una povertà che prepara il campo, con calma, a veri inni di splendore. Il ciclo Nero e oro, da questo punto di vista, parla da solo: quadri, tra i pochi moderni, che non stonerebbero dietro ad un altare. Pezzi di cielo bizantino depositati sulla nuda terra. È un’ascesi francescana quella di Burri, iniziata sui sacchi-saio. E culminata sulla soglia di questi tabernacoli…. Scriveva Emilio Villa: «Burri rende contenuti maestosi con mezzi addirittura trasandati, consunti, acidi… Egli ha il sentore delle materie in disuso… Elabora un’articolata, flessibile, lucida litania».  (nell’immagine Nero e oro, 1993)

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Qualche domanda cattiva ai curatori: perché far navigare i piccoli multipli nella grande sala centrale del primo piano? Perché nell’ultima sala dello stesso piano, quella con i meravigliosi quadri estremi orizzontali non sono state messe le didascalie? Perché alcune frasi di Burri sono state ripetute più volte (non se ne trovavano altre?)? Perché non osare una mostra sul secondo Burri, dando una fisionomia più sensata e ragionata a questa mostra?

Written by giuseppefrangi

dicembre 10, 2008 at 12:50 am

Pubblicato su art today

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