Robe da chiodi

Perché penso, come ha detto qualcuno, che la storia dell’arte liberi la testa

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Caravaggio non ci sta più nello scaffale

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Ho contato tra gli scaffali nella mia libreria. E ho scoperto di avere 42 libri su Caravaggio (solo Picasso lo batte con 51). Dovessi tenermi aggiornate con quel che sta uscendo dovrei uscire di casa e aprire un mutuo… Ma sinceramente non ce n’è bisogno. Basta sfogliare i volumoni in libreria per capire che si tratta sempre di ricicciamenti delle cose che si sanno. Le nuove uscite non sono mia il frutto di ricerche, ma alambiccamenti di operazioni editoriali. Oltrettutto non sono neppure buone la campagne fotografiche (il volume di Electa, di Francesca Cappelletti – 90 euro – ad esempio ha immagini magnifiche che si alternano a cadute di qualità scandalose, tipo la Resurrezione di Lazzaro). Tutti si piccano di dare chiavi ermeneutiche sulla pittura e sul personaggio. Ma sono in genere interpretazioni che lasciano tutti il tempo che trovano. Francamente l’ultimo libro che mi sia capitato tra le mani nel quale abbia trovato cose che non si sapevano è quello di Cristina Terzaghi dedicato al rapporto tra C. e i Costa («Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del banco Herrera & Costa», 2007) . Lì troverete ad esempio tutta la ricostruzione del caso che portò alla realizzazione della Giuditta (con il nesso straordinario con il dramma di Beatrice Cenci e il ritrovamento del corpo di santa Cecilia: Roma, 1598). Certo nel panorama di chi lavora e indaga su Caravaggio si sente il vuoto lasciato da un personaggio come Luigi Spezzaferro.

Per cui a chi mi chiede suggerimento su cosa leggere, Longhi a parte, raccomando l’utile e precisa biografia di Helen Langdon uscita nel 2002 da Sellerio. Sono 490 pagine a 24 euro. Ho molto attinto da questo libro poco spocchioso per realizzare una biografia di Caravaggio fatta per gli amici di 30Giorni. Leggete qui se volete…

Written by giuseppefrangi

Maggio 8, 2010 at 3:01 PM

Sull’omosessualità del Caravaggio

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Caravaggio era omosessuale? Una battuta scherzosa di Roberto Maroni, mentre rivendicava al proprio ministero (attraverso il Fondo edifici di culto) la proprietà della chiesa di Santa Maria del Popolo, ha rilanciato la questione: «Caravaggio era gay e lumbard», ha detto. Sulla cosa in realtà c’è da discutere. In passato cera stato uno scontro tra Bernard Berenson e Roberto Longhi sulla questione. Berenson, che rera omosessuale, aveva tirato dalla sua parte Caravaggio. Longhi lo aveva strapazzato con un saggetto dal titolo davvero irrispettoso: «Novelletta del Caravaggio “invertito”» (pubblicato su Paragone nel 1952). Erano tempi in cui la cultura di sinistra era rigorista e poco propensa a derive radicali e Longhi ne è piena espressione. Nel saggetto si diverte a demolire una prova sull’omosessualità di Caravaggio (la notizia, molto tardiva, di una sua opera che avrebbe rappresentato 30 uomini «ignudi che si abbracciano lubricamente»). Poi Longhi perfidamente fa capire qual è la questione: che Caravaggio più che essere omosessuale, piace agli omosessuali. Ed elenca gli intellettuali che bussavano alla sua porta per godersi l’immagine del Ragazzo morso dal ramarro. Tra gli altri ricorda Giuseppe Ungaretti (che fece un elegante e anche doloroso outing in una bellissima intervista concessa a Pier Paolo Pasolini: riguardatela).

Oggi il partito negazionista dell’omosessualità ha in Maurizio Calvesi il più ostinato paladino. Ma, premesso che la cosa non è molto importante a capire Caravaggio, bisogna dire che i quadri di più scoperto tenore omosessuale, sono quelli dipinti nei primi anni romani: ma quanto quei soggetti sono indotti dall’esplicita omosessualità del committente (il cardinale Del Monte) e quanto invece “parlano“ delle preferenze di Caravaggio? Con il passare degli anni questi riferimenti in effetti si diradano. E d’altra parte bisogna riconoscere che Caravaggio ha una capacità a volte prorompente nell’interpretare la fisicità femminile: ne sono testimonianza la bellezza a tutto tondo della Madonna dei Pellegrini o di quella dei Palafrenieri.

Ci sarebbe poi da parlare del suo rapporto con le più ambite prostitute romane come quella Fillide Melandroni che posò per la Santa Caterina (Thyssen) e a cui fece un ritratto distrutto sotto le bombe a Berlino (ma il ritratto era destinato all’amante di Fillide, Giulio Strozzi; foto qui sotto). Era quello il tipo di donna che funzionava per Caravaggio; Geronima Giustiniani, che posò come Giuditta e come Maddalena, non era molto diversa.

E se risolvessimo la questione ipotizzando che Caravaggio fosse bisex?

Written by giuseppefrangi

aprile 17, 2010 at 10:10 PM

I giorni giusti per vedere Caravaggio

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La macchina delle grandi mostre funziona così: enorme battage prima dell’inizio, con presentazioni su intere pagine. Poi cala il silenzio. Ad esempio del Caravaggio romano avremo letto centinaia di articoli di lancio, ma nessuna recensione. Personalmente ne ricordo una sola, firmata Simone Facchinetti, pubblicata dall’Eco di Bergamo, oltre che una nota sintetica e intelligente pubblicata sull’ultimo Giornale dell’Arte. Per questo mi fa piacere pubblicare alcuni passaggi della recensione che Laura Auciello, appena laureatasi a Roma in Storia dell’arte (tesi su Raffaellino del Garbo), mi ha fatto avere. Che abbia un occhio attento lo dimostra questa notazione utile che metto in testa: è quella relativa  ai giorni buoni per vedere la mostra, senza essere troppo penalizzati dai quadri che prima ci sono e poi spariscono. Laura consiglia il periodo dal 15 aprile al 14 maggio (arriva la Flagellazione di Napoli, anche se nel frattempo Il riposo durante la fuga in Egitto è partito per Genova. controllate qui la girandola)… Molto più complicato invece vedere Caravaggio a Siracusa, dov’è conservato quel capolavoro che è il Seppellimento di Santa Lucia. Un amico mi ha mandato il cartello degli orari via Mms: potete vederlo dalle 11 alle 14 e dalle 17 alle 19, lunedì escluso… Ecco la recensione di Laura Auciello.

«Le Scuderie accolgono oggi un Caravaggio celebratissimo e iperpubblicizzato, ospitando 24 opere, provenienti dai maggiori musei di tutto il mondo. Dislocate su due ampi piani, le tele sono suddivise visivamente in tre grandi sezioni, cromaticamente distinguibili e corrispondenti alle tre fasi della vita e della carriera dell’artista. Si hanno così pannelli verdi per la giovinezza, rossi per gli anni della fama e grigi per quelli della fuga. Una luce chiaroscurata, molto caravaggesca, pensata ad hoc dallarchitetto Michele de Lucchi, illumina – non illumina le opere disposte nelle dieci sale dell’elegante palazzo settecentesco. La mostra, volutamente divulgativa, punta ad una recezione quanto più possibilmente facilitata da parte del pubblico e propone un allestimento che stimola un’adesione emozionale alle opere esposte. Come corollario di ogni sala, i pannelli esplicativi spiegano – non spiegano le tele autografe, con qualche sommaria notizia storica e un commentario piuttosto pletorico ma decisamente suggestivo. La mostra è, così, decisamente “facile” nel suo andamento cronologico, nella proposizione delle tele tra le più famose dell’artista, nella ferma scelta di proporre solo un corpus certo e non discutibile di opere e nei pochi confronti tipologici suggeriti dall’esposizione. L’esposizione, seppur pensata con il contributo dei più grandi studiosi caravaggeschi italiani, che ne hanno curato anche il catalogo edito da Skira, non ha dichiaratamente alcuna pretesa scientifica o innovativa da un punto di vista meramente storico-artistico, molto lontana, in questo, da quella milanese curata da Roberto Longhi, nel 1951. Da sottolineare, poi, che la mostra rimanda più volte alle grandi tele ancora in situ, nelle chiese romane dove l’artista lavorò, consigliandone una visita, a completamento della visione delle opere esposte. Forse sarebbe stato auspicabile un prestito delle stesse per una maggiore coerenza espositiva e un’interessante decontestualizzazione delle opere chiesastiche».

(Sono molto d’accordo con questa sottolinatura finale di Laura)

Written by giuseppefrangi

aprile 11, 2010 at 2:41 PM

La carambola di Caravaggio

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Tra i quadri esposti alla mostra caravaggesca di Roma ce n’è uno che mi ha sempre molto affascinato. È l’Incoronazione di spine proveniente da Vienna. Un quadro che viene dalla collezione Giustiniani e che da lì approdò nelle raccolte imperiali nel 1809 (i fortunati che iscrivendosi all’Associazione Testori hanno avuto il calendario dedicato a Caravaggio e commentato da Longhi, per tutto il mese di marzo hanno davanti proprio questo capolavoro). È un quadro perfetto nella composizione, ma con combinazioni di triangoli che vanno in collisione l’uno nell’altro scambiandosi energia. Una vera carambola, che crea un effetto vorticoso sorprendente dentro un’immagine strutturata e “bloccata” come una grande immagine classica (non ve li enumero i triangoli: se provate a guardare il quadro con un occhio che filtra le linee direttrici della composizione ne scoprirete un’infinità). Una «geometria non euclidea», l’aveva definita Longhi. In questo modo l’Incoronazione fa emergere con un fattore decisivo per “decifrare” Caravaggio; ed è probabilmente il fattore che cattura in modo sorprendente l’occhio così “straniero” dell’uomo di oggi: i suoi quadri hanno un dna cinematografico. Lo aveva intuito per primo Longhi. Lo aveva scritto Pasolini. Ma la formulazione più persuasiva l’ho trovata nell’introduzione di Giovanni Previtali al Caravaggio di Longhi di Editori Riuniti. Previtali cita un libro di Béla Balázs, poeta e sceneggiatore ungherese cinema, che nel suo libro Il film scrive a proposito dell’«identificazione cinematografica»: «è come se vedessimo ogni cosa dal di dentro, come se fossimo circondati dai personaggi del film… Ci identifichiamo mediante lo sguardo con i personaggi del film… Osserviamo ogni cosa con la loro prospettiva, non possediamo più un nostro punto di vista». Nell’Incoronazione l’energia sprigionata dai triangoli coincide con il dinamismo del cinema, quello che risucchia e fa vedere ogni cosa «dal di dentro». Il genio di Caravaggio poi riesce a far convivere questo con l’icasticità dell’immagine propria del capolavoro. Tempo in movimento continuo e tempo fermato coesistono. La chiave sintetica di questa condizione è nelle parole di Longhi: «Il dirompersi delle tenebre rivelava l’accaduto e nient’altro che l’accaduto». Spero di aver reso l’idea…

Post scriptum: La prima settimana Caravaggio ha avuto 35.794 visitatori. Proiettato sulle 15 settimane si arriva oltre i 530 mila visitatori. Non male. Record della mostra del 1951 sfiorato. Ma mi chiedo: perché la mostra deve aprire alle 10? Non si può fare lo sforzo di aprire i battenti alle 8,30?

Written by giuseppefrangi

marzo 5, 2010 at 11:14 PM

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Un po’ di veleni su Caravaggio

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25. anzi 24 perché all’ultimo Il seppellimento di Santa Lucia se ne è rimasto a casa sua a Siracusa. Anzi 23 perché adesso scopriamo che uno dei curatori della mostra ha qualche dubbio sull’autenticità della Cattura di Cristo di Dublino. Anzi 22 e mezzo perché la Flagellazione di Napoli arriverà a metà mostra, in quanto fa parte di un’altra mostra, quella del Barocco a Napoli.

Si apre la mostra mainstraiming su Caravaggio a Roma. La mostra del centenario (morì nel luglio 1610). La mostra da mezzo milione di persone (furono anche di più nel 1951 a Milano, nella grande rassegna che consacrò Caravaggio, organizzata da Roberto Longhi). Inutile cercare un filo conduttore: sono stati portati i quadri che si potevano rastrellare. Quindi in gran parte sono quelli che fanno parte della compagnia di giro che in questi anni abbiamo visto spuntare nelle più disparate sedi espositive. C’è la Cena in Emmaus di Londra, che alla National Gallery devono ormai essersi dimenticati di possedere. C’è il Concerto giovanile del Met, che attraversa l’Oceano per la terza volta negli ultimi cinque anni. Tra i quadri “mai” visti nelle infinite rassegne caravaggesche dal 2000 in qui, ci sono l’Annunciazione di Nancy e l’Incoronazione di spine di Vienna (più i Bari di Fort Worth).

Hanno detto che il criterio è quello di lasciare le opere romane al loro posto, ma in mostra ci sono ad esempio la Deposizione dei Vaticani e di nuovo la Giuditta e Oloferne Barberini. Insomma è stato rastrellato il rastrellabile. Così nella coscienza comune continueranno a “non esistere” i capolavori inamovibili. Tre esempi: la Santa Caterina di Madrid, la Coronazione di spine di Rouen, la Madonna del Rosario di Vienna.

Staremo a vedere l’allestimento. Le Scuderie del Qurinale sono una bella sede ma vincolante per la conformazione degli spazi. Solo i locali del primo piano sono alti, così gli organizzatori sono “costretti” a mettere all’inizio del percorso le opere grandi, mandando a patrasso qualsiasi sequenza cronologica e seminando confusione nei visitatori. Speriamo di non trovarci la Deposizione (3 metri di altezza) o, peggio ancora, la conclusiva Annunciazione (2,85 cm) ad inizio mostra (era successo così disgraziatamente con il Bellini due anni fa: pronti via con la Pala di Pesaro).

Infine. Noto che nell’introduzione di Claudio Strinati non ricorre mai il nome di Roberto Longhi. Continua quindi l’assurdo accanimento di questa sede espositiva contro il più grande critico d’arte del 900 (era successa la stessa cosa, in modo molto più scoperto, con Antonello e con Bellini). E allora ricordiamo a tutti coloro che vogliono capire Caravaggio che i testi di Longhi sono ancora attualissimi e non sono per nulla superati. Che lui, marxista, arrivò molto vicino a intuire il segreto della grandezza di questo genio: un cattolicesimo spavaldo, aperto, entusiasta della realtà e della carne. Del resto Caravaggio era cresciuto nella Milano di San Carlo. Ed era arrivato a Roma negli anni finali di san Filippo Neri. Il quale aveva un motto: «state buoni se potete». «Se potete»: in questa raccomandazione paterna ma fluida sta lo spazio in cui Caravaggio costruì la sua appassionata (innamorata e drammatica) parabola.

Written by giuseppefrangi

febbraio 19, 2010 at 9:07 am

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Caravaggio, lasciamolo nudo

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Prepariamoci al profluvio caravaggesco per il centenario.  La mostra romana si annuncia molto sotto le aspettative, una delle tante viste in questi anni, con poco di più. Mi sarebbe piaciuto vedere i grandi quadri di San Matteo fuori dalla cappella, ma non sarà così (uscirono per la grande mostra longhiana a Milano del 1951: bei tempi, mostre serie…). Tra le prime uscite giornalistiche dell’anno centenario dobbiamo registrare l’articolessa di Antonio Paolucci, uscito domenica 3 gennaio su Avvenire. Un articolo da tuttologo cravaggesco: niente di che. Ma mi ha colpito il finale, in cui Paolucci cita Longhi, dai Quesiti Caravaggeschi del 1928-29: «Il dirompersi delle tenebre rivelava l’accaduto e nient’altro che l’accaduto». Citazione straordinaria Peccato che Paolucci la chiosi in modo disgraziatissimo: «Occorre aggiungere tuttavia che il mondo svelato dalla luce con inesorabile obiettività per Caravaggio è (può essere) un mistero ontologico abitato dai segni del Sacro». Punto primo: mi tengo istintivamente alla larga dal Sacro con la S maiuscola. È un cappello indebito e anche un po’ ambiguo messo sull'”accaduto”. L'”accaduto” basta e avanza, come emergere di Dio nella storia. Punto secondo: quella di Longhi è un’intuizione straordinaria per capire Caravaggio dal punto vista critico; la sua è capacità di fissare in modo fulminante l’accaduto, di non farne una rievocazione ma un “accaduto” che accade nel suo presente. Non è un caso che Longhi nella presentazione alla mostra milanese aveva scritto che la categoria chiave di Caravaggio, quella che dà ragione della sua novità, è quella dell’“oggi”. E per chiarezza aveva messo “oggi” in corsivo.

Sempre a proposito del nostro segnalo l’intervento di Marco Bona Castellotti su Il sole della domenica (3 gennaio). Nell’articolo si anticipa una “scoperta” di Rossella Vodret in un libro  di prossima uscita: i dipinti a muro sull volta del Casino Ludovisi a Roma (gli unici che si conoscano di Caravaggio) sono tre autoritratti, fatti mettendo lo specchio sotto i piedi. Si vede Caravaggio, spavaldo, nudo, con il sesso in vista, che si rappresenta in tre scorci arditi. Sotto, nella stanza, il cardinal Del Monte faceva i suoi esperimenti alchemici in questo suo rifiugio defilato. Caravaggio risponde con l’unica alchimia che gli appartenga: quella del corpo e della realtà messa a nudo (letteralmente). Il tutto, sempre, alla luce del sole.

Written by giuseppefrangi

gennaio 6, 2010 at 3:35 PM

Bacon alla Borghese: a casa sua

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Esco dalla visita alla Galleria Borghese con un’idea certa in testa: il confronto tra Bacon e Caravaggio forse non decolla, ma Bacon non trema mai. Se c’è prova del nove della grandezza di un autore, questa è certamente una: invadere la Borghese e tenere botta. C’è un angolo che mi ha impressionato, nel grande salone all’ingresso. Il Trittico della Tate Gallery (Triptych August 1972) è messo ad angolo con la meravigliosa Conversione di Paolo, seconda versione. È uno dei Caravaggio più perfetti, un vertice senza sbavature, esatto in tutto a partire dall’adesione al fatto. Quanto Novecento al confronto avrebbe fatto la figura di pittura arruffona, di istintualità geniale ma ultimamente senza capo né coda? Bacon invece puntella lo spazio con la sicurezza di un classico.  Chiude e apre, proprio come le braccia spalancate di Paolo, che sono gesto di abbandono, ma sono anche le linee di forza su cui Caravaggio poggia la costruzione di un quadro che non conosce nulla di scomposto. Nel Trittico le tre porte nere alle spalle sono ante aperte su un precipizio, ma non diffondono panico nella tela. Sono come le scene di una tragedia classica, tremende ma implacabilmente ordinate. Che sia proprio la categoria dell’ordine il punto da cui rileggere Bacon senza cadere in banalità?

Detto questo, Bacon alla Borghese ci sta benissimo. Sfonda i lunghi corridoi con l’incendio del Study for a Portrait of Van Gogh VI o con quel quadro strano che è come un  ring in verticale (Two figures, 1975). Il Trittico di autoritratti ha l’esattezza chirurgica di un fiammingo. Sa essere esatto nella deflagrazione delle forme.

So che in molti non saranno d’accordo, ma Bacon alla Borghese ci sta bene. (E quel vizio che ogni tanto si concede a mettere una punta di “arredamento” di troppo nele tele, in fondo non stona tra questi stucchi…)

Nota stonatissima: in mostra non c’è più il San Giovannino, delle raccolte della Borghese. Al pannello dove stava appeso hanno messo una foto e una dicitura: in prestito per una mostra a Kyoto. Non s’era mai visto un quadro in mostra che viene prestato… (hanno poratato là anche la Dama con il liocorno di Raffaello)

Nella foto, Triptych inspired by the Oresteia of Aeschylus, nel salone all’ingresso.

Written by giuseppefrangi

novembre 16, 2009 at 11:26 PM

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Pensiero sul Caravaggio perduto

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Quarant’anni fa in una notte come questa, tra il 17 e il 18 ottobre, veniva rubato all’oratorio di San Lorenzo il Presepe di Caravaggio. Un quadro che per una coincidenza di date era stato dipinto proprio nell’ottobre di 400 anni fa, nel 1609, ultimi istanti della permanenza siciliana di Caravaggio. Un quadro di cui Longhi sottolineò saggiamente l’irriducibile ascendente lombardo: «… la scena affiora dal fosco quasi come una’antica Sacra conversazione lombarda». Longhi, nel testo del 1968, va poi anche oltre: «Tutte nuove sono le scoperte pittoriche nei semitoni ombrosi dei due animali da presepe, nel San Giuseppe in giubbotto verde elettrico e nella grande ritrosa della lustra canizia; nell’angelo di nuovo “bresciano”, ma che spiomba come un giglio scavezzato dal proprio peso; nel bambino miserando, abbandonato a terra come un guscio di tellina buttata». (aggiungo, c’è del Savoldo nella figura del pastore sulla destra della tela)

È un quadro anche profondamente siculo, per i tratti somatici della Madonna dalla pelle olivastra con il vestito che le scende dalla spalla, per quell’insolito san Francesco, per l’eleganza nobile del San Lorenzo. Ma certo la cosa più bella è quell’angelo che con le sue braccia tiene per mano la terra e il cielo. Lo rivedremo mai?caravaggio_nativit_copy1

Written by giuseppefrangi

ottobre 17, 2009 at 1:59 PM

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Caravaggio-Bacon, qualche pensiero eretico

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Visto che l’immenso battage della mostra romana alla Galleria Borghese si sta traducendo come previsto in un moltiplicatore di banalità via stampa e tv, vi rimando a una riflessione fatta per degli amici. È solo l’inizio di un pensiero da sviluppare.

Written by giuseppefrangi

ottobre 2, 2009 at 10:28 am

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Mostre autunnali, di data e di fatto

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Un utile calendario sul sito di Repubblica elenca le mostre della prossima stagione. La crisi si sente: sono in gran parte cose in tono minore, che a volte sembrano rimediate per non tenere chiuse le sedi. C’è il confronto Bacon Caravaggio alla Borghese, ma mi sembra più una cosa per fare qualche fuoco d’artificio nel segno degli artisti da scandalo, che una cosa convinta. Rischia di essere uno schematismo facile, che ostruisce la comprensione dell’uno e dell’altro. Hopper a Milano è una mostra quasi da centro commerciale: del resto è stata lanciata in stile centro commerciale, con quei patetici manifesti con le foto dei fans dell’artista americano, attaccati in giro per la città. A Roma a Palazzo Venezia, per una mostra insulsa intitolata il Potere e la Grazia spostano addirittura il Van Eyck di Palazzo Madama a Torino: auguriamoci che sia solo un falso annuncio.

Provo a segnare le mostre che non perderei. 1. I disegni di Michelangelo architetto a Roma, ai Musei Capitolini. Se n’era vista una tre anni fa a Vicenza. C’è di mezzo il Museo Buonarroti. Sarà seria. 2. Calder a Palazzo dell Esposizioni: non lo amo, nella sua leggerezza un po’ gratuita ma s’ha da vedere. Mi confermerò nell’idea che in Melotti c’è infinitamente più poesia. 3. Gli Sforza a Vigevano. Non ne so molto, ma quanto meno è l’occasione per tornare dopo tanto tempo in una delle piazze più belle d’Italia. 4. Sarebbe poi bello andare sul Pollino a vedere le grandi installazioni di Kapoor, Penone e Höller. Ma ci van troppi chilometri.

Written by giuseppefrangi

settembre 3, 2009 at 5:36 PM

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