Robe da chiodi

Perché penso, come ha detto qualcuno, che la storia dell’arte liberi la testa

Archive for ottobre 2009

Il portentoso Duomo di Milano

with 4 comments

gugliaAncora a parlare del Duomo di Milano. Lo spunto è la giornata di studi per riscoprire la storia della guglia maggiore del Duomo progettata dall’architetto Francesco Croce nel 1764. Un’opera grandiosa, se si tiene conto che da secoli il coronamento della cattedrale rappresentava un problema insoluto e che la scelta di collocare proprio sopra la cupola una torre di 600 tonnellate di marmo e 40 metri d’altezza rappresentava una decisione alquanto ardita. Un’opera che non piacque alla milano teresiana e illuminista, Pietro Verri la definì «ridicola e bestiale».Per fortuna alle bocciature non sono seguiti i fatti e oggi quella guglia è ancora su, a reggere la Madonnina.Alla giornata di studi c’era l’amico Luca Doninelli a cui dobbiamo intuizioni commosse e geniali. Eccone tre.

La prima. «Non esiste nulla a Milano che catalizzi gli sguardi di chi ci abita come questa guglia. Se potessimo contare gli sguardi che si posano su ciascun edificio, parte di edificio, monumento, opera o semplice oggetto della nostra città, su qualsiasi elemento del patrimonio cittadino, io credo che la Grande Guglia del Duomo supererebbe di parecchie lunghezze qualunque altra cosa.  Perché Milano è fatta così, Milano è fatta affinché i nostri occhi salgano verso quel punto. La sua struttura a raggi è fatta perché chi procede verso il centro di Milano guardi quel punto».

La seconda. «La caratteristica del Duomo non è di svettare, ma di tirare giù il cielo, di tirarlo in terra».  Lo aveva scritto Rebora «Il portentoso Duomo di Milano/ non svetta verso il cielo/ ma ferma questo in terra in armonia/ nel gotico bel di Lombardia».

La terza. È la riflessione finale. «Il Duomo è come una faccia, è come la faccia di un uomo che guarda il destino negli occhi, e non ha paura. Noi temiamo il suo sguardo, la grandezza che porta dentro di sé, la grandezza degli uomini che lo edificarono ci mette un po’ di soggezione. Ci sentiamo più piccoli, oppure liquidiamo la cosa con un po’ di scetticismo, pensando che quegli uomini, in fondo, erano dei visionari, o degli illusi. Ma in fondo sappiamo che non è così. Dobbiamo poter tornare a guardare bene in faccia il nostro Duomo, rinnovando quella incredibile forza progettuale nella quale Milano non ha avuto pari in tutta la storia. Dobbiamo renderci conto della città straordinaria in cui viviamo, della sua unicità, e dei compiti che – indigeni o no, italiani o no, credenti o no, di destra o di sinistra eccetera eccetera – l’essere milanesi comporta».

Written by giuseppefrangi

ottobre 29, 2009 at 8:49 PM

Don Gnocchi, che bellezza

with one comment

4043420586_229ff511a0_b

Mi ha commosso ieri vedere la facciata bianca del Duomo di Milano, con i suoi ricami di marmo che si ritagliavano nell’azzurro di un cielo limpido come erano limpide le intenzioni di questa giornata. Nel mezzo della facciata campeggiava l’immagine di don Gnocchi, per la sua beatificazione. Un’immagine, leggera, sorridente, molto umana, con il volto rivolto verso il popolo che stava là sotto, e quelle pennellate di blu che facevano eco al cielo. Mi è piaciuta, oltre che per ragioni sentimentali (per quel che mi riguarda don Gnocchi è la quintessenza dell’essere milanesi) anche perché immagine aggiornata, spigliata, risintonizzata con i tempi. C’è un che di terso in questo insieme, qualcosa che dà la sensazione di una purezza vissuta, praticabile, semplice ma insieme affascinante. È la “buona vita” che genera inaspettata bellezza. Viva don Carlo!

(l’immagine di don Gnocchi è merito di un pubblicitario milanese Maurilio Brini di Tribe Communication)

Written by giuseppefrangi

ottobre 26, 2009 at 7:58 PM

Pubblicato su pensieri

Tagged with , ,

Pasolini, Masaccio e il finale di Accattone

with 3 comments

1676393887È uscito qualche tempo fa un bel libro di Stefania Parigi dedicato al primo film di Pasolini, Accattone (editore Lindau, 18 euro). Ne sono venuto a conoscenz grazie a una bella recensione di Civiltà Cattolica su questo numero. Dal libro ricavo due spunti interessanti. Uno riguarda la filosofia visiva di PPP, riferica con parole sue: «In Accattone non c’è mai un’inquadratura in cui si veda una persona di spalle o di quinta; non c’è mai un personaggio che entri in campo e poi esca di campo […]. Il mio gusto cinematografico non è di origine cinematografica, ma figurativa. Quello che io ho in testa come campo visivo, sono gli affreschi di Massaccio, di Giotto, che sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieristi (ad esempio, il Pontormo). E non riesco a concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica, trecentesca, che ha l’uomo come centro di ogni prospettiva».

Il secondo spunto riguarda invece la battuta finale del film, una battuta indimenticabile pronunciata da Franco Citti morente: «Aaah… Mo’ sto bene!». Sembrava esito del vitalismo pasoliniano, invece l’autrice del libro la mette in rapporto con un citazione che compare subito dopo i titoli di coda dei film e alla quale non si è dato il sufficiente peso. Pasolin cita dei versetti di Dante , da Purgatorio V: «…l’angel di Dio mi prese e quel d’inferno/ gridava: “O tu del Ciel, perché mi privi?/ Tu te ne porti di costui l’eterno/ per una lacrimetta che ’l mi toglie”»… (una lacrima di pentimento, versata in punto di morte, è bastata da sola a cancellare i peccati di tutta una vita di Bonconte da Montefeltro e dargli la salvezza). Per Accattone non ci sono lacrimette, perché non c’è neppure consapevolezza del peccato, nella sua anima da sottoproletario. Ma quel conta è l’esito: quel “mo’ sto bene” è il presentimento di sperimentare il Paradiso.

Da rivedere e da leggere.

Written by giuseppefrangi

ottobre 24, 2009 at 12:22 PM

Tutti a mangiar frutta con Caravaggio e Federico

leave a comment »

Che ci faceva La Canestra di frutta di Caravaggio nelle collezioni del Cardinale Federico? Perché proprio lui volle un quadro di quel grande pittore di cui disprezzava tutto, a partire dai suoi comportamenti? Non si può mancare domani all’Ambrosiana ad ascoltare Cristina Terzaghi, che nel 2004 studiò a fondo al vicenda dedicandole un saggio che ha segnato una svolta nella comprensione di questo capolavoro, «Per la Canestra e Federico Borromeo a Roma» (Studia Borromaica, 18 2004). «Per confortare la testa e per rinfrescarla quando è calda, mi son piaciuti i fiori; et i frutti anchora sopra le tavole, et ho goduto massimamente di havere le premitie di primavera e nell’estate ancora» scrive il cardinale nel manoscritto De nostris studis. Che sintetizza così questa sua “debolezza”: «Un piacere dolce e senza amaritudine tra le spine del mondo».

È il mistero dell’unica opera di Caravaggio destinata alla sua città che sia sopravvissuta. Insieme a Cristina Terzaghi ci sarà Giacomo Berra, autore di una ricostruzione meticolosa sugli anni giovanili di Caravaggio a Milano. Per iscriversi alla conferenza che si concluderà con la visita alla Canestra, basta andare sul sito dell’Associazione Testori.

Untitled-3

Written by giuseppefrangi

ottobre 23, 2009 at 1:52 PM

Warhol non era uno schizzinoso

with one comment

È uscito anche in Italiano America di Andy Warhol. Lo ha pubblicato Donzelli in versione tascabile, ma l’originale (dell’85) era un libro grande così, traboccante di fotografie. Perché Wrahol non era uno schizzinoso…  leggi qui

Warhol-America-Bk

Written by giuseppefrangi

ottobre 20, 2009 at 10:21 PM

Pubblicato su moderni

Tagged with , ,

Pensiero sul Caravaggio perduto

with 4 comments

Quarant’anni fa in una notte come questa, tra il 17 e il 18 ottobre, veniva rubato all’oratorio di San Lorenzo il Presepe di Caravaggio. Un quadro che per una coincidenza di date era stato dipinto proprio nell’ottobre di 400 anni fa, nel 1609, ultimi istanti della permanenza siciliana di Caravaggio. Un quadro di cui Longhi sottolineò saggiamente l’irriducibile ascendente lombardo: «… la scena affiora dal fosco quasi come una’antica Sacra conversazione lombarda». Longhi, nel testo del 1968, va poi anche oltre: «Tutte nuove sono le scoperte pittoriche nei semitoni ombrosi dei due animali da presepe, nel San Giuseppe in giubbotto verde elettrico e nella grande ritrosa della lustra canizia; nell’angelo di nuovo “bresciano”, ma che spiomba come un giglio scavezzato dal proprio peso; nel bambino miserando, abbandonato a terra come un guscio di tellina buttata». (aggiungo, c’è del Savoldo nella figura del pastore sulla destra della tela)

È un quadro anche profondamente siculo, per i tratti somatici della Madonna dalla pelle olivastra con il vestito che le scende dalla spalla, per quell’insolito san Francesco, per l’eleganza nobile del San Lorenzo. Ma certo la cosa più bella è quell’angelo che con le sue braccia tiene per mano la terra e il cielo. Lo rivedremo mai?caravaggio_nativit_copy1

Written by giuseppefrangi

ottobre 17, 2009 at 1:59 PM

Pubblicato su pittura

Tagged with , ,

Quel pasticciaccio in metropolitana

with 5 comments

005-060-13-1

La MM di Franco Albini. L’eleganza a portata del popolo. Se ne parlerà alla Triennale. Io mi sono fatto un’idea chiara. Leggetela qui se volete.

Written by giuseppefrangi

ottobre 13, 2009 at 11:42 PM

Pubblicato su Uncategorized

I santi nel legno dei cieli

with 2 comments

Ma una mostra che vorrei davvero vedere c’è: The Sacred Made Real, scultura e pittura spagnola tra 1600 e 1700 alla National Gallery di Londra. Sono i precursori straordinari di ogni iperrealismo. Ne parla l’ultimo numero del Giornale dell’Arte (bello il titolo: “I santi nel legno dei cieli”), dove il curatore Xavier Bray intervistato spiega che la scultura aveva una potenza emotiva molto maggiore alla pittura e che lo stesso Velazquez aveva appreso la tecnica della scultura dipinta: «La scultura era la forma d’arte preferita per rendere più immediata e diretta la religione, risvegliava tutti i sensi».

Non è difficile crederlo se si guardano queste due opere stupefacenti esposte alla National Gallery. La prima è il San Giovanni di Dio di Alonso Cano, l’altro è la testa del San Francesco in meditazione di Pedro de Mena, proveniente da Toledo.

sacred_made_real_3_500 2501921372_c45214fc8f

Written by giuseppefrangi

ottobre 11, 2009 at 10:46 PM

Un autunno di mostre mostruose

with 4 comments

Pensavo in questi giorni, osservando i lanci stampa delle mostre che arrivano sul tavolo, che siamo nella stagione delle “mostre mostruose”. Qualche esempio: Il Potere e la Grazia, a Palazzo Venezia. Un’enigmatica indagine su ruolo e immagine dei santi patroni, in Europa. Mostra dai grandi mezzi, con qualche prestito da capogiro (arriva la tavoletta di Van Eyck da Torino, un quadro che neanche a Torino tengono espsoto sempre per preservarne le condizioni: vi pare una cosa logica?). Benché ci sia dietro Ravasi, sembra un concertone di grandi nomi che cercano disperatamente un’ultima ribalta. Ma i patroni, giganti della nostra storia, sono ormai figure drammaticamente marginalizzate nella coscienza collettiva. Meglio tentare di rappresentare il dramma di questo oblio che non la retorica dei tempi andati.

Altro esempio: la mostra pavese con la carrellata di seconde scelte del 600 spagnolo provenienti dall’Ermitage. Leggo oggi sul Corriere che la legittimazione culturale della mostra sta nel fatto che nel 1525 a Pavia si combattè la battaglia che consegnò la Lombardia alla Spagna. Dal che uno deduce che si fa una mostra sugli influssi che la cultura figurativa iberica ha avuto sull’arte lombarda del 600, ad esempio sulla cultura dei pittori pestanti. Nient’affatto. Nessun confronto, nessuna indagine sul tema. Semplice carrellata di quadri, trangolati dalle collezioni di Caterina II (l’unica cosa buona è che qualcuno almeno scoprirà che a Pavia c’è la bellissima Pinacoteca Malaspina…).

Tra le mostre malpensate temo ci sia anche quella romana su Caravaggio e Bacon, che come mi riferiscono amici autorevoli è mal allestita e penalizza il grande inglese, finito nel tritatutto della spasmodica mania caravaggesca che ormai pervade l’Italia.

Al che mi sono detto: ma se si voleva fare una mostra per mettere in rapporto Bacon con il passato c’erano almeno tre ipotesi più pertinenti e più intelligenti:

  1. Portare il ciclo dei papi urlanti di Bacon a casa loro, cioè a fianco del mitico Innocenzo X di Velazquez che ne è il prototipo ispiratore.
  2. Mettere Bacon a confronto con i disegni di corpi di Michelangelo, altro punto genetico della sua pittura.
  3. La più fascinosa: Bacon con il Crocifisso aretino di Cimabue. Nel suo studio di Londra lo teneva appeso rovesciato, per percepirne con più forza la straordinaria torsione. Non ci vuol molto a capire quanto potente sia stata quella suggestione su di lui.

A la prochaine…

Written by giuseppefrangi

ottobre 7, 2009 at 5:48 PM

Pubblicato su mostre

Tagged with , ,

McDonald’s al Louvre, Gioconda e patatine

with 2 comments

McDonald’s sbarca al Louvre. Dove sta lo scandalo? Il più grande museo del mondo fa otto milioni di visitatori all’anno. Cioè 26mila al giorno. È diventato fenomeno più di massa di un centro commerciale. Una volta che s’è messo su questa dimensione, aprire le porte ad altri marchi di massa è diventata quasi una formalità. McDonald’s, dopo Starbucks s’è posizionato nei grandi spazi aperti sotto la Piramide di vetro. Sarà Gioconda e patatine: ce ne faremo purtroppo una ragione. È l’omologazione, bellezza.

Per consolare gli inconsolabili ho pensato a questo gioco: passare in rassegna tutti le più belle (e un po’ selettive) caffetterie dei musei, andando a memoria mia. La preferita, per me, è quella di Palazzo Madama a Torino. S’affaccia con grandi vetrate sulla piazza, ha belle poltrone, è poco frequentata, si fa forte dell’arte pasticcera sabauda. Segue la caffetteria degli Uffizi, certo meno tranquilla, ma con spettacolare terrazza su Palazzo Vecchio. Strepitosa anche la terrazza di palazzo Caffarelli, ovvero del bar dei Musei Capitolini a Roma (quando non è affittata per cerimonie private). Sempre a Roma, a piano terra, ma con soffitti alti 10 metri è la caffetteria del Museo nazionale d’arte Moderna. Milano si salva con il bar-design della Triennale, affacciato sul parco. Venezia soffre gli spazi angusti ma al Museo Correr c’è un angolo di caffè di sapore settecentesco. Di nuovo a Torino, fa la sua bella figura il bar lungo, appoggiato nel verde al museo di arte contemporanea di Rivoli. Capodimonte a Napoli e i Vaticani a Roma, sono da bocciare. Non apro il file dei musei esteri, perché non è sufficientemente aggiornato: ma ricordo l’emozione al Kunsthistorisches di Vienna dove si mangia e si beve avendo Caravaggio a un tiro di schioppo.

(A Brera, museo magico, amato ma un po’ abbandonato a se stesso, non si può bere un caffè. Chi tutto e chi niente… Sbarcasse Starbucks tirerebbe su il morale a tutti…)

Ma ora dite la vostra!

Brunelleschi, bevendo un caffé agli Uffizi

Brunelleschi, bevendo un caffé agli Uffizi

Written by giuseppefrangi

ottobre 6, 2009 at 11:39 PM

Pubblicato su pensieri

Tagged with , ,