Robe da chiodi

Perché penso, come ha detto qualcuno, che la storia dell’arte liberi la testa

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Mies Van der Rohe: persistere nell’umiltà

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Questo pensiero di Mies Van der Rohe l’ho trovato sull’ultimo numero di Casabella. Mi sembra ovviamente bellissimo. Riflessione a margine: gli architetti sono quelli che hanno sviluppato più pensiero nel secolo passato. Pensiero sano, intendo. Pensiero che fa i conti con la vita, i suoi bisogni, le sue attese. Queste di Mies ne sono una ennesima conferma (in quale altra arte nel secolo scorso è stata presa in considerazione la categoria dell’umiltà?)

La costruzione non definisce soltanto la forma, ma è la forma stessa. Dove la vera costruzione prova un contenuto autentico, là sorgono anche opere vere; opere vere e corrispondenti alla loro essenza. E queste sono necessarie. Esse sono necessarie in se stesse e in quanto parti di un ordine genuino. Si può ordinare soltanto ciò che è già in sé ordinato. L’ordine è qualcosa di più dell’organizzazione. L’organizzazione è la determinazione della funzione. L’ordine invece è attribuzione di significato. Se noi attribuissimo a ogni cosa ciò che essenzialmente le spetta, allora le cose rientrerebbero, quasi da sé, nell’ordine loro corrispondente e solo qui sarebbero pienamente ciò che esse sono. (…) Questo presuppone di abbandonare l’orginalità e di realizzare ciò che è necessario. (…) In altre parole: servire invece di dominare. Solo chi ha provato quanto sia difficile fare correttamente persino le cose semplici, sa riconoscere il peso di questo compito. Ciò significa persistere nell’umiltà, rinunciare all’effetto e compiere fedelmente il necessario e il giusto.

[Appunti per una conferenza, 1950 (?) da Mies Van der Rohe, Le architetture gli scritti, Skira 1996 pag. 313]

Written by giuseppefrangi

dicembre 22, 2009 at 11:01 PM

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La Sagrada Família, con punto interrogativo

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sagrada-familia-barcelona3Finire o non finire la Sagrada Família di Gaudì? La Spagna, dopo un  appello lanciato da 400 personalità, torna a dividersi. Proviamo a ragionare.

Le ragioni del sì: il popolo la vuole finita; le cattedrali sono sempre state dei cantieri interminabili, portati avanti per generazioni; mai nessun progetto è stato fedele alla lettera ai disegni originali; l’unità formale della Sagrada è comunque garantita dall’intuizione fantasmagorica del suo creatore; non terminarla comporta che la Sagrada non diventi un luogo pienamente di culto e quindi sia ridotta a mero santuario della curiosità; la Sagrada è uno di quei misteriosi “giganti” spuntati senza ragioni apparenti a rendere ultimamente visibile la fede in stagioni di oscurità.

Le ragioni del no: inutile erigere cattedrali per poi trovarsele vuote causa devastante secolarizzazione; il cantiere così come viene condotto è una caricatura di quella che era l’idea originaria di Gaudì; la parte nuova della Sagrada ha sempre più l’aria di un prefabbricato; ciò che nella mente creativa di Gaudì era intrico di mistero, rischia di ridursi a esoterismo spicciolo; la grandezza della Sagrada consiste nella sua drammatica incompiutezza; la cattedrale di Gaudì è un’opera moderna e quindi frutto di un genio tutto individuale: inutile inventarsi la retorica neo medioevale del cantiere corale. (C’è chi dice: anche la cupola di San Pietro venne progettata da Michelangelo ma finita da Giacomo Della Porta, con relativo ritocco dell’idea del genio. Ma il paragone non tiene: là Michelangelo aveva dettato un “verbo” implacabile, capace di plasmare il cervello e la visione di chiunque veniva dopo di lui. Qui Gaudì è un grande isolato. Un genio assolutamente eccentrico rispetto al corso della storia. Nel 1929, appena tre anni dopo la sua morte, a Barcellona, Mies Van der Rohe costruiva il Padiglione tedesco, l’architettura più radicalmente antitetica a Gaudì che si potesse immaginare).

Timidamente: io oso stare dalla parte del no.

Written by giuseppefrangi

dicembre 17, 2008 at 12:52 am

Hello Chicago

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lobbyHa iniziato così il suo discorso l’altra notte ( la sua notte) Obama. «Hello Chicago». Bello slancio, dedicato a una città magnifica e dura, spazzata dal vento (windy city) e abbarbicata al suo loop, il treno che sferraglia ad altezza camera da letto nel cuore della città. Chicago ha qualcosa di impresentabile, di irrimediabilmente banditesco. Poi è capace di sorprendere con perle di purezza inarrivabile. Due su tutte, per me: i Lake shore drive apartments di Mies Van der Rohe, architettura di trasparenza perfetta affacciata sul “mar” Michigan (nella foto). E la Dimanche à la Grande Jatte di Seurat, nel museo che a me è sempre sembrato uno dei più bei e sintetici musei del mondo. Chicago mi piace perché ha qualcosa di Milano. Una città in cui nessuno vorrebbe stare, ma in cui finiscono per arrivare tutti. Non città da vetrina, ma città di sostanza. Città piatte, più forti dei miasmi con cui sono costrette a coesitere. A quando qualcuno che lanci un “hello Milano”? (Nel senso di un qualcuno che s’inchini alla città mostrando un attaccamento così sobrio e così commosso)

Written by giuseppefrangi

novembre 7, 2008 at 2:39 PM